sabato 14 giugno 2008

Fango e Miele


"La grande tradizione del garage-rock di Seattle e` forse culminata nei Mudhoney, i suoi massimi esponenti nell'era del grunge." (P. Scaruffi)

Io partirei da qui per recensire l'ultima fatica del gruppo di Mark Arm, a mio avviso tra le band più sottovalutate degli ultimi vent'anni, letteralmente schiacciati prima dai Nirvana e poi dai Pearl Jam, per finire poi dimenticati assieme al grunge.

Io, al contrario, ritengo i primi quattro dischi del quartetto di Seattle (Superfuzz Bigmuff, Mudhoney, Every good boy deserves fudge e Piece of cake) assolutamente strepitosi, ancorchè seguiti nel tempo da episodi altalenanti.

Ora, dopo vent'anni di carriera, "The Lucky Ones" suona come un ritorno alle origini, carico di energia come ai bei tempi. Il primo brano, "I'm Now", è paradigmatico: " the past makes no sense / the future looks tense", sbraita Mark Arm, chiarendo subito che i ragazzi sono vivi e vegeti e non si apprestano ad una operazione di revival. Steve Turner fa ruggire la sua chitarra, lanciandosi in un paio di cavalcate da paura ("Next Time", "What's This Thing " ). Splendida anche la canzone che da il titolo all'album, tirata alla grande.

Per me, almeno fino ad ora, disco dell'anno.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

grande mark..
ricordi big la recensioen di quella rivista americana che leggemmo durante la nostra leggendaria vacanza on the road in the usa?
quella della voce da capra...?
per via della critica musicale...

Big ha detto...

La critica musicale fa cagare al 90%, tra musicisti falliti che sfogano le loro frustrazioni, disonesti pagati dai discografici e ignoranti che non sanno distinguere i Beatles da un'opera di Puccini.
Ricordo l'aneddoto di Mark che cantava con voce di goat, che abbiamo dovuto pensarci su per ricordare che vuole dire capra. Bei tempi, eravamo giovani, capelloni e grunge!